Luoghi etruschi by D.H. Lawrence

Luoghi etruschi by D.H. Lawrence

autore:D.H. Lawrence [Lawrence, D.H.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza


1. Piú fumo che arrosto. (N.d.T.)

5. Vulci

L’antica Etruria consisteva in una Lega, o libera Confederazione religiosa di dodici città, ognuna delle quali abbracciava alcuni chilometri di campagna all’intorno, di modo che possiamo dire fossero dodici stati, dodici città-stato, la famosa dodecapolis del mondo antico, i latini duodecim populi Etruriae. Di queste dodici città-stato Tarquinia era ritenuta la piú antica e la principale. Un’altra città è Caere, e non molto distante, verso il nord, Vulci.

Vulci è ora chiamata Volci, sebbene non vi siano tracce di città, ma soltanto tombe etrusche, miniera di tesori. La città etrusca andò in rovina al declinare dell’Impero romano, e o decadde a causa della malaria che venne a seminare la morte nella regione, oppure finí con l’essere distrutta, come dice il Ducati, dai Saraceni. Comunque ora non v’è piú vita.

Interrogai il giovane tedesco intorno alle località etrusche lungo la costa: Volci, Vetulonia, Populonia. La sua risposta fu sempre la stessa: «Nulla! Nulla! Non c’è piú nulla!»

Tuttavia decidemmo di visitare Volci. Essa si trova a circa venti chilometri soltanto a nord di Tarquinia. Prendemmo il treno solo sino alla prossima stazione, a Montalto di Castro, poi fummo trasportati rumorosamente su sino alla cittadina sul colle, non molto distante nell’interno. La mattina non era ancora inoltrata, ed era sabato. Ma la città, o villaggio, sul colle era del tutto calma e mezzo morta. Discendemmo dall’autobus in una specie di piazzetta che sembra dissolversi nel nulla: la città non aveva un centro in cui fervesse un poco di vita. Ma c’era un bar, vi entrammo e chiedemmo un caffè e dove avremmo potuto trovare un mezzo di trasporto per Volci.

L’uomo del caffeuccio era giallo e pigro, con l’indolente sorriso dei contadini. Sembrava del tutto privo di energia e ci guardava con occhi letargici. Probabilmente aveva la malaria, sebbene in quel momento la febbre non lo affliggesse. Ma essa gli aveva corroso la vita.

Ci domandò se desideravamo recarci al Ponte. Dissi di sí: al Ponte dell’Abbadia, perché sapevo che Volci era vicina al famoso e antico ponte del monastero. Gli chiesi se avremmo potuto trovare un calesse che ci portasse fuori. Rispose che sarebbe stato difficile. Dissi allora che avremmo potuto andare a piedi: erano soltanto cinque miglia, otto chilometri. «Otto chilometri!» disse con lento, laconico tono malarico, guardandomi con un lampo di ironia negli occhi neri. «Sono almeno dodici!»

«La guida dice otto!» insistetti con forza. Costoro vogliono sempre calcolar le distanze il doppio di quello che sono, se avete da noleggiare un veicolo. Ma egli mi guardò lentamente e scosse il capo. «Dodici!» disse. «Allora ci occorre una vettura» dissi. «Comunque non trovereste la strada» disse l’uomo. «Si può avere una vettura?» Egli non lo sapeva. Ce ne era una, ma era partita la mattina per andare in qualche posto e non sarebbe stata di ritorno sino alle due o alle tre del pomeriggio. La solita storia.

Io insistetti: non c’era un carro, un barroccino, un carretto? Egli scoteva lentamente il capo. Ma io continuavo a insistere, guardandolo fissamente, come se la vettura dovesse saltar fuori.



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